Winter journey, “Viaggio d’inverno”
15 minuti prima dell’inizio dello spettacolo mi arriva una telefonata, lo spettacolo sta per cominciare vieni subito, cosí mollo tutto e mi reco al Teatro Massimo come un fulmine.
4 piano, posto palco 23, lo spettacolo è già cominciato! piano piano mi seggo, sono con una coppia di circa 60 anni. Entro nell’opera!
Un effetto scenico che non è un’opera da Teatro Massimo, luci, suoni, emozioni, orchestra, mare, scenografia, gente, video.
Winter Journey parla della storia di una famiglia africana che si separa perché il marito decide di venire in Europa con il barcone, ovvero la storia di tutti i giorni che ascoltiamo come sottofondo alla nostra cena.
Oggi ci sono 10 morti, oggi 100… non ci fa più effetto la loro morte, è normale.
E’ come ai tempi della guerra, come ai tempi gli ebrei, questo è il viaggio di Hitler, uomini ai campi di concentramento.
Pensi di arrivare a destinazione invece ti ritrovi all’improvviso in mare, con i tuoi amici morti, forse anche tuo figlio e per fortuna passa una barca e ti salvano la vita, un essere umano ti prende per i capelli e ti salva la vita, ti salva la vita? Non lo so se la risposta è “si”, visto che la meta è un campo di concentramento in Europa, mi correggo un centro di accoglienza.
Nei centri di accoglienza non c’è nulla di quello che hai sognato, c’è freddo, gli abiti non sono adeguati, non c’è cibo, non ci sono documenti… non è il viaggio che ti aspettavi.
Nel frattempo si narra della storia di una famiglia, una storia d’amore, una donna che canta al suo amato durante le notti, un uomo che canta la sua amata quando è riuscito a mettersi al sicuro.
In Europa la notte non si dorme, che strano pensa un africano, io dormivo con la luna e vivevo con il sole.
Quando questo uomo riesce a contattare la sua donna per sms gli vorrebbe raccontare che sta bene ma di fatto è in un campo di concentramento e non ho voglia di raccontare questa parte, spera di mettere i documenti a posto e far venire anche lei.
In quest’opera si sentono le emozioni.
I migranti, li vediamo ogni giorno e sento le urla della gente, “mia figlia ha paura dei migranti, la guardano”, “con i migranti non siamo più sicuri” e le arringhe dei politici che dicono “ non c’è posto per questa gente, lasciamoli in mare, migranti ne abbiamo troppi”.
Mi sono sentita a tratti vicino Hitler, altri vicino Salvini, a tratti mi sono ricordata del mio campo di volontariato in Africa, io la speranza negli occhi degli africani l’ho vista.
Venire in Europa, anche un ragazzo australiano vuole andare in Italia, un americano in Cina, un tedesco in Madagascar, come tutti gli uomini bianchi, i neri hanno la speranza negli occhi di voler viaggiare, vivere il mondo. Ci sono alcuni neri a cui non interessa venire in Europa, così come ci sono dei bianchi a cui non interessa viaggiare.
Gli Africani vivono la divina commedia al contrario, paradiso, purgatorio ed inferno.
Molti di loro non sanno cosa li aspetta.
La maggior parte degli africani non sa nuotare, immaginateveli quanto ci stanno a morire annegati.
La delicatezza di questa opera è nelle lacrime vere che scendono sulle guance dei protagonisti, gente che ha vissuto queste esperienze in prima persona.
In questo spettacolo io conoscevo tutti i neri, non conoscevo nessun bianco.
Ho pianto perché è stato talmente vero da provocare in me una domanda, perché l’uomo ripete sempre la stessa storia? Perché l’uomo non si è riuscito a liberare del potere del denaro?
Alla fine dello spettacolo ovviamente scopro chi sono stati i miei compagni di viaggio, sono una coppia greca che parla inglese, per fortuna lo spettacolo era in inglese.
Ho chiesto al signore se l’opera gli fosse piaciuta, e lui mi ha risposto, “sì, mi sono emozionato 2 volte,
una per la bellezza dell’opera in sé stessa, l altra perché lei è stata la nostra compagna di viaggio.
Lei ha suonato tutto il tempo e ha anche pianto”.
Mi complimento con Mr Badara Seck perchè durante il tempo degli applausi ha preso 2 rose che erano sul palco e le ha donate alle 2 donne che hanno recitato.
L’africano conosce l’amore, conosce la gentilezza, l’africano non è una persona da evitare.
L’africano ha musica dentro di sé, gioia, va a dormire quando c’è buio e si sveglia quando c’è il sole.
Il problema del popolo africano è che è così meraviglioso che fa invidia a tutti e per questa ragione il mondo lo vuole distruggere. Mi dispiace, mi dispiace per la madre terra che ho conosciuto, mi dispiace per la madre terra in cui ho vissuto, mi dispiace per gli occhi di tutti quei bambini che ho lasciato ad Ampecrom.
Sono felice, sono felice perché nello staff dell’ opera c’è un uomo che lavora all’ interno della mia azienda, John Frempong alla quale mio fratello, un bianco, ha insegnato a suonare djembe.
Sono felice perché un altro uomo nero che ha lavorato nella mia azienda per 7 anni oggi è in Canada a realizzare i suoi sogni.
Sono felice perchè Chris Obehi sta realizzando i suoi sogni.
Sono felice perché nel mio piccolo ho dato il mio contributo alla mia Africa.
Mi dispiace che il mondo non sa amare, mi dispiace che ancora Hitler non è morto e mi dispiace che nel 2020 esiste ancora questo scempio.
La cattiveria non dovrebbe esserci, l’ignoranza non dovrebbe esserci, il potere economico non dovrebbe esserci.
Perché il mondo non ha saputo copiare dagli africani? Il loro stile di vita…. lasciare andare!
Il suono dei tamburi per le strade e… lasciare andare, lavorare i campi e… lasciare andare.
Se indossi una maglietta al contrario che ci fa? Non è un problema!
Di certo quando l’ Africa si veste per la festa non c’è Dolce e Gabbana che tiene!
Una volta andai al Teatro Massimo per l’evento di apertura di Manifesta e per la prima volta vidi bianchi e neri dentro il teatro era bellissimo pieno di colori, di risate, di emozioni.
Negli ultimi 2 anni sono stata solo 2 volte al Teatro Massimo a vedere opere della mia gente, opere d’ Africa, grazie Palermo e grazie a Ludovico Einaudi per averci scelto.
Claudia Vitale